a cura di Andrea Del Favero
Folk Bulletin: Partiamo dal titolo del tuo ultimo album, che è anche lo spettacolo che hai portato in giro negli ultimi mesi… Ce lo spieghi?
Serena Finatti: in questa società dove passa sempre di più il messaggio che solo chi si impone con forza può vincere, è facile interpretare la fragilità come una debolezza, che prelude a un fallimento. Invece credo sia importante essere fragili e averne coscienza. Significa che sei in grado di riconoscerti anche quando il dolore ti ha ferita, tradita, umiliata. Significa che il tuo rapporto con ciò che ti circonda è sensibile, che dai importanza alle emozioni, ai sentimenti, linfa vitale per ognuno di noi. Certo, è rischioso lasciarsi attraversare da tutte queste impalpabili forze, ma questo per me significa vivere, imparare a superare sempre un po’ di più i propri limiti. Sono fiera di aver compreso tutto questo. Nel brano che dà il titolo al disco mi concentro sulla fragilità e la fierezza femminile in particolare, perché è davvero incredibile quante donne siano ancora oggi vittime di violenze di ogni tipo! Molte di più di quelle che si possa immaginare purtroppo.
Spesso non se ne rendono nemmeno conto. Fortunatamente basta fare una piccola ricerca e si può trovare una significativa lista di grandi donne coraggiose, fragili e fiere che hanno lottato, che lottano ancora, per ciò in cui credono. Lo spettacolo che propongo, si basa proprio sull’intreccio di alcune di queste vite. Lo dico in musica, con le mie canzoni e attraverso l’interpretazione delle intime confessioni di alcune di queste donne.
Folk Bulletin: A quasi un anno di distanza dall’uscita del disco, quale ti sembra essere la canzone più significativa, quella che maggiormente incide dal vivo?
Serena Finatti: Forse proprio Fragile e Fiera, soprattutto quando sul palco con me e Andrea ci sono i Sing&Feel, cinque giovani voci che curo e dirigo da tempo. Ma anche Presunta realtà, canzone scelta di recente dal gruppo Nemesi dell’istituto Linussio di Codroipo e dal loro insegnante di teatro Michele Polo, per essere inserita e cantata dal vivo nel loro spettacolo che debutterà al Palamostre di Udine il 6 maggio. Grazie a un laboratorio sulla voce, ho potuto seguire personalmente i ragazzi aiutandoli a imparare e interpretare il brano. Belle emozioni!
Folk Bulletin: Qual è in assoluto la composizione alla quale sei più legata?
Serena Finatti: Lenzuolata (Laila, Acoustic Music Records 2010), perché quando la canto riesco ad andare esattamente là, sulla collina a Bassano, dove da piccola trascorrevo le mie vacanze estive. Su quella collina io sognavo a occhi aperti ciò che dico nella canzone. Poi perché mi ricorda la settimana di registrazioni vissuta nello studio di Peter Finger in Germania e la vittoria al concorso dedicato a Lucio Battisti.
Folk Bulletin: Cane o gatto?
Serena Finatti: Cane E gatto!
Folk Bulletin: Con Anin a grîs hai accettato il confronto con Alice, reinterpretando la bella canzone di Marco Liverani su testo di Maria Grazia Di Gleria
Serena Finatti: Alice è un’interprete di un’eleganza unica. È una canzone molto particolare, l’uso del friulano le dà un che di sacro, mi piace molto, inoltre è una delle prime canzoni che ho imparato e cantato di fronte a pochi amici e parenti, ancor prima di iniziare a studiare canto e musica. Romanticamente ho deciso di condividerla ora, con nuovi amici e parenti.
Folk Bulletin: Come nascono le tue canzoni, più pianoforte o più chitarra?
Serena Finatti: le mie canzoni nascono intimamente al piano, ma anche senza, solo voce, dipende.
Folk Bulletin: Quanto conta l’accompagnamento chitarristico di Andrea Varnier?
Serena Finatti: una bella canzone secondo me dovrebbe suonare bene anche solo se cantata a cappella, spero sempre che le mie canzoni possano avere questa caratteristica. Tuttavia, l’accompagnamento di Andrea conta moltissimo. La sua sensibilità e la sua musicalità saprebbero esaltare anche la canzone più misera della terra! Per me dare una canzone in mano ad Andrea significa renderla speciale.
Folk Bulletin: Un disco strumentalmente meno ricco di ospiti, rispetto al tuo precedente. Come mai questa scelta?
Serena Finatti: per me è fisiologico e naturale alternare i momenti in cui collaboro con altri musicisti a quelli in cui mi esprimo usando solo le mie risorse o quasi. È come se avessi bisogno di respirare a un ritmo solo mio e di mettermi alla prova.
Folk Bulletin: Sappiamo che oltre al duo con Andrea Varnier, hai mille altri progetti e che oltre, alla musica, ti dedichi a mille altre attività. Ce ne vuoi parlare?
Serena Finatti: Lavoro come attrice, scrivo testi, insegno teatro, insegno canto, scrivo musiche per musical e spettacoli teatrali rivolti ai ragazzi e non solo. Quando trovo delle realtà in cui posso unire tutte queste cose mi sento nel posto giusto. Amo passare le mie conoscenze ai giovani, e nel farlo colgo anche l’occasione per imparare da loro.
Da diversi anni seguo i Sing&Feel, un progetto principalmente vocale che mixo a esperienze di recitazione e movimento. Tutto questo mi piace ma richiede molta energia, perché desidero fare le cose bene e dare sempre il massimo a tutti. So cosa significhi investire tempo e danaro per imparare, quindi cerco di dare ai miei allievi il meglio di me. Io stessa cerco di trovare ancora e sempre il tempo per studiare, è importante, c’è talmente tanto da imparare!
L’attività che sta alla base di tutto, è stare con mio marito, progettare con lui le giornate, il nostro futuro e prendermi cura dei miei animali: tre gatti e fino a poco tempo fa, la nostra amata Trudi, una cagnolotta che è stata al nostro fianco negli ultimi tre anni della sua vita. L’abbiamo portata ovunque, in vacanza, in tournée … mi manca.
Folk Bulletin: In epoca di talent show e valori falsati dall’industria e dai media, può la musica popolare avvicinare un pubblico giovane? Cos’è la musica popolare oggi?
Serena Finatti: Sì, la musica popolare può avvicinare un pubblico giovane, se le si desse la possibilità di arrivare a loro.
L’argomento musica popolare è vastissimo. Si parla di mondi sonori diversi, di ascolto, di identità e cultura legata alla propria terra d’origine. È storia, un passato che respira e vive ancora attraverso la volontà di chi ne conserva la memoria. Ma è anche presente, che si muove, è uno specchio della società, che mette in luce i suoi umori, le contraddizioni, i tormenti, i sentimenti… e allora ecco che fioriscono diversi tipi di musica popolare, da quella che non richiede sforzo per capire il contenuto del testo, spesso deprimente e sgrammaticato, che però si avvale di tecnologia avanzata per correggere intonazione, metrica e molto altro, violenta e grezza, oppure banale e lagnosa. A quella che va contro corrente, che richiede tempo e passione per essere ascoltata. Non la si trova con facilità, la devi ricercare: tra i dischi che nessuna grande azienda promuove, dal vivo in qualche locale anacronistico, nei piccoli teatri, nel salotto di qualche casa… si tratta il più delle volte di musica coraggiosa, che viaggia fuori dagli schemi sicuri e facili, che fa pensare e si sa, pensare costa fatica e sveglia le coscienze, quindi è musica per pochi.
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