Dalla folgorazione iniziale degli anni Sessanta, assistendo allo spettacolo “Bella ciao” del Nuovo Canzoniere Italiano, fino alla collaborazione con Valeria Moriconi; dalla prima formazione in cui il fervore politico e l’essere contro la cultura ufficiale valeva forse di più dell’aspetto musicale vero e proprio fino alla partecipazione ai più importanti festival europei, passando per un lavoro di ricerca (direi però meglio di condivisione) con tutti i più importanti testimoni della cultura orale marchigiana. In questo doppio CD di durata complessiva che supera le due ore e mezza c’è di tutto, ma c’è soprattutto il grande sogno di Gastone Pietrucci, anima de La Macina e grande rivitalizzatore della cultura popolare della sua regione. Ogni brano è una testimonianza preziosa. Ogni fotografia è un ricordo forse ancora più prezioso. Ogni parola è un omaggio, una celebrazione quantomai meritata per l’attività trentennale di questo gruppo storico. Un disco-documento che non può mancare nella collezione di ogni appassionato di canto tradizionale, ma può costituire un regalo di grande interesse per chiunque ami confrontarsi con la cultura popolare e lasciarsi provocare dal suo punto di vista particolare e “contro”. Detto questo, ci resta il dubbio retorico di cosa avrebbe potuto combinare nei suoi trent’anni di vita -e non solo musicalmente parlando- questo gruppo di lavoro se, per motivi vari, non avesse dovuto affrontare un numero davvero singolare di cambi di formazione, mantenendo di fatto la figura del leader Gastone Pietrucci come unico filo conduttore nell’arco del tempo. D’altra parte, i frequenti ricambi con il conseguente continuo innesto di forze giovani ha sicuramente aiutato La Macina nel suo cammino e la saggezza popolare dice che, alla fine, la ragione ce l’ha sempre chi rimane. Ed è quindi in questa chiave di lettura che va interpretato quanto lo stesso Gastone scrive in conclusione della sua presentazione intitolata “La mia vita con La Macina”: “(durerà…) fino a quando mi durerà questa malattia, questa contagiosa voglia di giocare, di divertirmi e soprattutto di far divertire”.
Roberto G. Sacchi
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