Il musicista molisano, toscano d’adozione, si racconta ad Andrea Del Favero
Folk Bulletin: Questo tuo progetto parte da lontano, ce ne racconti la genesi?
L’origine è lontana, scaturisce dall’ascolto del primo Branduardi alla fine degli anni settanta. I suoi dischi hanno suscitato subito in me interesse e curiosità. Mi occupavo già di musica, suonavo la chitarra in gruppi pop, conoscevo molti autori italiani e stranieri ma i suoi brani avevano qualcosa in più, qualcosa che mi apparteneva, forse era la musica che avrei voluto saper fare ma…avevo vent’anni! Già da allora sognavo con Franco Giusti e Stefano Tartaglia, fondatori con me dei Musicanti del Piccolo Borgo, di suonare i suoi pezzi, ho custodito questo desiderio per più di quarant’anni, in questo lavoro l’ho realizzato.
Folk Bulletin: Che cosa ti ha colpito della personalità di Angelo Branduardi e del suo fare musica così a fondo da farti partire con questo progetto?
Ho da sempre apprezzato la sua capacità di amalgamare stili musicali differenti con originalità, il suo pescare, in spazi e tempi lontani, contenuti multipli sacri e profani, reali e onirici. Soprattutto mi ha da sempre entusiasmato il suo indagare nei patrimoni culturali cosmopoliti per poi utilizzarli in un’idea di musica totale. Il suo repertorio è miscellanea colta che restituisce significati complessi tramite la musica, senza distinzione di genere, affinché possano essere fruibili ai più.
Tra le cose che più mi colpirono ricordo la indimenticabile magia delle launeddas di Luigi Lai inserite in Ballo in fa# minore alla fine degli anni settanta prima dell’avvento della word music. Branduardi era fuori dalle mode, lo è ancora oggi. È un artista capace di far dialogare mondi differenti al di là della contaminazione, parola tra l’altro sterile e evanescente. Sceglie ciò che di bello conosce e riconosce, lo impasta, lo mescola, lo piega alla sua idea di musica senza pregiudizi.
Branduardi decodifica, interpreta, metabolizza prodotti culturali quali la poesia antica e moderna, la letteratura, le sacre scritture, le rielabora in un suo preciso codice musicale trasversale e unitario non solo piacevole da ascoltare ma fonte di emozioni e di riflessioni. Ed ecco una melodia bulgara sposare versi greci, un riverbero celtico affiorare tra le rime di una filastrocca popolare, un’aria medievale imporsi in un testo letterario moderno. È questo che mi piace, è questo che ammiro.
Affermo da sempre che il meglio è già stato fatto da chi ci ha preceduto: il maestro è capace di coglierlo, valorizzarlo e restituirlo in una visione aperta dell’uomo e del mondo attraverso la mediazione della musica.
Se non apparisse immodesto direi che, almeno nelle intenzioni, il mio lavoro di ricerca sul campo dei contesti agro/pastorali e la riproposta della musica tradizionale di cui mi occupo da anni persegue lo stesso obbiettivo anche se in un’area più ristretta e non certo con gli stessi successi…anche se non mi lamento!
Folk Bulletin: Qual è stato il tuo criterio per la scelta dei brani?
Ho scelto i brani a cui sono particolarmente affezionato e che appartengono soprattutto al primo Branduardi. Alcuni fanno parte della colonna sonora della mia vita per i loro contenuti, altri contengono stilemi musicali tradizionali italiani e stranieri che amo da sempre. Le tracce del Cd sono DICIOTTO, molte delle quali ho rivisitato in chiave folk.
Folk Bulletin: Ti conoscono tutti come valente polistrumentista, da anni sulla scena del folk, questa volta ti sei cimentato nel canto come giudichi questa tua nuova esperienza?
Istintivamente sono stato portato a imitare Angelo Branduardi, in fase di registrazione ho provato a cercare modalità più personali di interpretazioni, ma non mi hanno convinto. Penso che alcune canzoni debbano e possano essere cantate solo così come sono nate. Non sono un cantante, ho prestato la mia voce a un repertorio che mi piace. Il focus del progetto è rivolto più all’aspetto strumentale che a quello vocale… ai posteri l’ardua sentenza.
Folk Bulletin: Sono molti i musicisti coinvolti in quest’avvenuta sonora: li ha scelti o si sono scelti?
Stefano Tartaglia ha condiviso questo progetto con me da sempre, sapevamo entrambi che prima o poi lo avremmo fatto, un patto silenzioso stipulato ai tempi del liceo. Mi accompagnano inoltre musicisti/amici provenienti dal mondo della musica popolare: Massimo Giuntini, celebrato virtuoso di aerofoni celtici e Christian Di Fiore giovanissimo talentuoso zampognaro molisano. Dal mondo della musica classica: Alessandro Bruni alla chitarra e Michela Fracassi al violino, dal jazz: Andrea Nocentini alla batteria e Maurizio Bozzi al basso elettrico e al contrabbasso. Tutti amano la musica del Maestro e tutti amiamo far musica insieme non è stato difficile né sceglierli ne farsi scegliere, parlerei di un incontro naturale e spontaneo frutto di stima e amicizia reciproca.
Ci sono inoltre nel disco ospiti di eccezione: Nando Citarella, Claudia Bombardella, I Viulan, Paola Pasquini e Carmelo Giallombardo, Cesare Guasconi, tutti artisti incontrati nel mio lungo cammino di musicante che hanno reso onore a questa mia passione.
Folk Bulletin: Abbiamo visto che hai fatto parecchie date dal vivo con questo spettacolo: com’è stato accolto dal pubblico?
Bene, molto bene direi. I Malandrini si divertono sul palco e il pubblico lo avverte si entusiasma e partecipa. A Roma in una serata di beneficienza, in un teatro gremito da un pubblico variegato ed eterogeneo presente più in funzione dell’evento che del concerto abbiamo avuto un grande apprezzamento da parte di giovani che pur non conoscendo il repertorio di Branduardi sono stati felici di scoprirlo. Ritengo importante da sempre proporre musica altra, poco conosciuta o dimenticata.
Folk Bulletin: Tu hai pubblicato molti lavori per un’etichetta indipendente, RadiciMusic Records, e hai anche un osservatorio privilegiato come organizzatore di eventi. Che opinione ti sei fatto del mondo della produzione e della distribuzione nel folk in Italia?
Produrre un disco oggi ha un significato soprattutto di documentazione per il gruppo musicale che lo produce. Impensabile credere di poterne ricavare vantaggi economici o di farsi conoscere attraverso i dischi. La rete, nel bene e nel male, fagocita tutto, con i suoi punti di forza: l’accessibilità e la libertà, e i suoi punti di debolezza: brevità, semplificazione, superficialità.
L’etichetta indipendente Radici Music rappresenta la tenace resistenza di chi ancora crede che la musica non sia solo quella di moda e si impegna ad offrire altre possibilità di ascolto.
Folk Bulletin: Esiste ancora il folk in Italia, e resiste, secondo te?
Il folk esiste certo che esiste, è come il mio Molise un po’ nascosto nella carta geografica ma se lo scopri trovi paesaggi bellissimi, diversi tra loro, siti archeologici forse un po’ dimenticati ma di grande fascino, puoi ascoltare connubi di lingue stratificate nel tempo, vedere grandi opere d’arte, basta viaggiare con gli occhi grandi e curiosi. E’ proprio con questa curiosità che organizzo i miei eventi; ricerco, ascolto, scelgo e scopro sempre realtà musicali poliedriche ancora capaci di dare un contributo culturale a questo nostro mondo omologato e liquido.
Ci sono formazioni giovani che continuano a interessarsi al mondo del tradizionale rivisitandolo con sensibilità contemporanee. Alcuni si muovono tra innovazione e sperimentazione, altri rispettano stilemi più arcaici ma tutti impegnati a dimostrare come la musica del passato si faccia presente nel qui e ora dell’esecuzione. La vecchia guardia resiste, penso ai Calicanto, ai Tre martelli, agli Uaragnau, agli Unavantaluna, ai Viulan, ai miei Musicanti, potrei citarne altri, tutti grandi gruppi impegnati a testimoniare la vitalità della musica tradizionale italiana ancora oggi.
Folk Bulletin: Ultima domanda: in quanti progetti è coinvolto Silvio Trotta?
I tre gruppi storici nei quali suono da tanti anni i Musicanti del Piccolo Borgo, il Trio Tresca e i Viulàn sono ancora in piena attività mantengono la voglia di far musica con passione ed entusiasmo. Sono le formazioni che accompagnano la mia vita di musicante da sempre e sono fonte di orgoglio e di soddisfazione.
Negli ultimi mesi sono stato coinvolto in altri due nuovi progetti che giudico interessanti il primo con la grande Claudia Bombardella e Alessandro Bruni in un trio nel quale rivisitiamo tutto il repertorio del nostro precedente duo Danza delle dita. È un’esplorazione in differenti ambiti musicali e culturali di paesi lontani, le corde accompagnano le indiscusse capacità vocali di Claudia con grande libertà espressiva. Trovo originali e stimolanti le composizioni e i nuovi arrangiamenti del Trio, mi interessa molto questo viaggio musicale dalle dimensioni interculturali.
Il secondo progetto mi vede accanto a un musicista che ho sempre stimato e ammirato: Massimo Giuntini. Il nostro duo si chiama Libero arbitrio e fonde in un amalgama naturale l’incontro tra sonorità celtiche e mediterranee. È uno scambio reciproco tra due mondi differenti nei quali ogni volta scopriamo però continuità e affinità sorprendenti. I primi concerti ci fanno ben sperare.
Poi, non ultimo, il mio lavoro con il teatro sociale della Compagnia Diesis Teatrango. L’incontro con ragazzi speciali, mettere a disposizione la mia musica durante le loro rappresentazioni, mi gratifica da un punto di vista sia professionale che umano.
Antonietta Caccia dice
Una presenza e una lettura sempre preziose e stimolanti.
Un saluto dal Circolo della zampogna di Scapoli che come il nostro Molise esiste e resiste, nonostante tutto.