Da qualche tempo è attiva in Italia un’associazione che ha al centro del proprio interesse culturale i tamburi a cornice. Ne parliamo con Gian Michele Montanaro, uno dei coordinatori nazionali della meritoria iniziativa, intenzionata ad attirare l’attenzione su un patrimonio importante della nostra tradizione musicale.
Cominciamo a fare un po’ di chiarezza: da un punto di vista organologico, quali sono i tamburi a cornice italiani e quali le loro caratteristiche?
Procedendo per gradi e creando un po’ di antefatto, dobbiamo dire che “tamburi a cornice” è un termine che viene usato per indicare la grande famiglia di tamburi diffusa in tutto il mondo costruiti con membrane di vari materiali, tese su casse ugualmente varie anche per forma e che come unica peculiarità organologica comune hanno la profondità del corpo dello strumento inferiore al diametro della membrana che viene percossa.
Scendendo nel dettaglio della realtà italiana, non è semplice parlare in generale del tamburo a cornice perché il panorama è estremamente variegato e particolareggiato e ridurre le distinzioni ad una specifica caratteristica decontestualizzata da spazio e tempo sarebbe un errore. Parlare di tamburello e tammorra è riduttivo anche perché il tamburo a cornice in Italia è molto diffuso ed antico, quindi, una vera tradizione millenaria cangiante come tutte le tradizioni, i cui tratti morfologici sono molto spesso legati alle ritmiche
e soprattutto alle tecniche di cui sono al servizio.
Volendo affrontare velocemente l’argomento, le caratteristiche distintive oggi sono
le pelli utilizzate naturali o sintetiche, come vengono lavorate e come vengono assemblate al resto del tamburo
le dimensioni preferite dai suonatori tradizionali a seconda dell’area geografica sia per diametro che per profondità
le caratteristiche della cornice riferendoci ai vari tipi di legno ed alle specifiche riguardanti il peso, lo spessore e l’impugnatura
le caratteristiche dei sonagli (che possono essere di vario genere e grandezza) da ritagli di lattine di pomodori, a bubbole e campanelli.
Un fervido e vivo sottoinsieme della grande famiglia dei tamburi a cornice
meraviglioso per ricchezza e diversità se si pensa a quante differenze intercorrono tra i tamburelli marchigiani scendendo giù fino ai tamburelli siciliani, senza dimenticare che ci sono aree del nord Italia dove il tamburo a cornice viene ancora suonato ad esempio in Valle d’Aosta o in alcune comunità Istro-venete.
Allarghiamo un po’ l’obiettivo. Come si collocano i tamburi a cornice italiani nel quadro del bacino del Mediterraneo? E dell’Eurasia in senso più ampio?
Guardando l’Italia per quello che è geograficamente, ossia una lingua di terra in mezzo al mare, si può facilmente risalire a quanto sia stata meta di scambio volontario o forzato. Tra le varie ipotesi riguardanti la diffusione del tamburo a cornice in Italia c’è la cultura greca in cui tale strumento era diffuso ed ovviamente la cultura araba. Tutt’oggi il mediterraneo è una delle aree dove il panorama è tra i più variegati, tra pandereta spagnola, bendir nord africano, mazhar egiziano, riq diffuso in tutto il mondo arabo. Allargando ulteriormente lo sguardo all’Eurasia il panorama diviene ancora più ricco e antico e a questo già folto elenco si aggiungono il duff mesopotamico,il dayereh mesopotamico e balcanico, la doyra dell’Uzbekistan, il ghaval dell’Azerbaijan. Che oggi grazie alla velocità con cui si scambiano informazioni sono divenuti strumenti suonati anche da eccellenti percussionisti in Italia.
Da cosa è nata l’esigenza di riunirvi in associazione? Quanti sono gli iscritti e quali obiettivi vi ponete? Esiste in qualche altro Paese un’iniziativa simile alla vostra?
La necessità di questa associazione che abbiamo chiamato SOCIETA’ ITALIANA TAMBURI A CORNICE
nasce un po’ in controtendenza a quello che è un modo comune e diffuso di divulgare e fare cultura ed informazione in Italia, dove -metaforicamente parlando- pur di non condividere i frutti del proprio orto si rischia di mangiare lo stesso frutto tutto l’anno o peggio solo nella stagione in cui c’è.
Alla base di tutto c’è il concetto di rete e condivisione e quindi un’associazione con tutti i valori e le variabili che la rendono tale, oltre alla rielettività delle cariche del consiglio direttivo ed uno statuto che rispecchia tutti i parametri di uguaglianza di diritti tra sessi, culture e religioni.
Senza arrogarci un primato nel modo di operare sicuramente siamo stati i primi a pensare di dettagliare tale forma mentis al nostro mondo, il mondo del tamburello, il mondo dei tamburi a cornice, per scoprire poi, che un modo di pensare lo si abbraccia e si finisce per essere quel pensiero in ogni cosa. La condivisione, lo scambio, l’incontro sono tra le nostre prerogative base, argomenti che divengono evidenti leggendo gli articoli del nostro statuto. Il numero dei soci varia ed oscilla tra i trecento ed i cento cinquanta e questo avviene in funzione delle attività che riusciamo a mettere in moto.
Da poco il Consiglio Direttivo che si componeva dei tre soci fondatori che siamo io, Paolo Cimmino e Davide Conte, è stato allargato ad altri due percussionisti che sono Vincenzo Gagliani ed Enrico Gallo. Ma questo non vuol dire che sia definitivo, anzi, ci auguriamo che cambi e spesso da qui agli anni a seguire, perché vuol dire che ci sono sempre più persone motivate a mettersi in gioco a tutto tondo per un argomento che ci rappresenta culturalmente nel mondo.
Realtà con le stesse prerogative e gli stessi intenti probabilmente non ce ne sono ma ci sono realtà affini come ad esempio il NAFDA (North American Frame Drums Association) che trova nella figura di N. Scott Robinson il suo riferimento e che comunque porta avanti un discorso similare riguardo il concetto di rete sul territorio del Canada e degli Stati Uniti d’America.
In generale, in cosa si concretizza la vostra attività?
La nostra attività è tutta in crescita anche perché l’associazione è estremamente giovane, ha soli 2 anni di vita, ma le attività sono tante e molte sono in programma.
Attualmente ci poniamo da referenti sul territorio nazionale per quel che riguarda la cultura del tamburo a cornice italiano ma operiamo anche per la diffusione delle altre culture. Tra le attività relativamente recenti siamo stati coinvolti da i C.E.A. Centri di Educazione Ambientale del Parco Regionale del Matese nella collaborazione per la produzione di un DVD sulle tradizioni musico-coreutiche di tale area geografica intitolato appunto “Canti e le danze del matese campano” e contemporaneamente abbiamo sviluppato un ciclo di seminari in collaborazione con altre realtà che si interessano comunque di tradizione e tamburi a cornice come scuole e musei presenti nella capitale intitolato “Seminàr Tamburi”. Abbiamo passato tutto il primo anno ad organizzare eventi no-profit per accumulare il minimo necessario tra lasciti volontari e autofinanziamenti per creare un sito dinamico www.tamburiacornice.com, completo di tutto ciò che possa interessare i vari soci, dalla pagina personale che crea una sorta di mini socialnetwork di appassionati ed addetti ai lavori al punto shop per i vari costruttori e artigiani. Tra le attività importanti che ci vedono coinvolti nel futuro più prossimo ci sono varie sedi locali distaccate presenti in altre regioni ed un convegno collettivo su i tamburi a cornice con particolare attenzione ai tamburi italiani e alla loro storia.
Sappiamo che a metà maggio ci sarà a Roma un evento importante per voi. Ce ne vuoi parlare?
Sì, il meeting internazionale del tamburello, che nasce addirittura prima dell’associazione, è alla sua quinta edizione. È un vero e proprio incontro tra addetti ai lavori, amanti, simpatizzanti e curiosi, è il primo meeting in Italia su tale argomento. Non è sicuramente semplice strutturarlo e coordinarlo anche perché manca totalmente l’attenzione delle istituzioni e degli enti a cui più volte ci siamo rivolti sempre senza grossi successi.
Comunque l’importante è credere e crescere nell’obiettivo ed anche se, e non è cosa nuova,
mancano soldi o attenzione alla cultura in Italia, noi andiamo avanti continuando a sviluppare le nostre attività nel CIP Alessandrino, un centro sociale di Roma che oggi rappresenta, insieme a pochi altri, uno dei templi della musica tradizionale nella capitale. È qui, in un quartiere popolare di Roma che nasce e si sviluppa il Meeting Internazionale del Tamburello 5° edizione, 3 giorni di musica con seminari di tamburi a cornice e danza, concerti e buona cucina tipica con ingredienti selezionati.
Il meeting è il primo evento in Italia che si interessa totalmente dei tamburi a cornice, in controtendenza ad altre realtà simili noi puntiamo molto sull’acquisizione del linguaggio delle tradizioni ed è per questo che, di anno in anno, promuoviamo focus che abbracciano non solo la percussione con la sua tecnica ma tutto ciò che la integra e la completa come la danza e gli strumenti con cui più spesso si accompagna.
Quest’anno la nostra attenzione si è rivolta alla Calabria e al Salento per l’Italia ed ai ritmi sud e centro-americani di Cuba, Puerto Rico e Brasile nel resto del mondo.
Quali luci e quali ombre nello stato della pratica strumentale dei tamburi a cornice oggi in Italia?
Volendo usare tale metafora la luce è tanta perché tante sono le persone che si dedicano a vari livelli a tale strumento e quindi c’è molto interesse per le proprie tradizioni e per i tamburi a cornice italiani.
Bisogna sottolineare che in un passato anche recente, sia per il contesto storico-culturale che per la mancanza di possibilità di entrare in modo veloce in contatto con informazioni, i nomi che realmente hanno fatto sì che il tamburello avesse una crescita esponenziale sono stati pochissimi
Nando Citarella, Paolo Cimmino, Arnaldo Vacca, Pierangelo Colucci, Davide Torrente, Alfio Antico:
è grazie a loro che le straordinarie possibilità ritmiche di tale strumento siano oggettivamente comprovate attraverso lo studio e la sperimentazione a cui tanti percussionisti della nuova generazione si dedicano. Molti sono i percussionisti che si definiscono tamburellisti e che dedicano tutta la loro attenzione a come migliorare ed adattare le possibilità tecniche di tali strumenti, evolvendo il concetto di tamburo al servizio della tradizione in tradizione al servizio del tamburo.
Uno dei limiti che rallenta tutto ciò è che l’Italia è un Paese conservatore per antonomasia che, oltretutto, ha dettato al mondo i riferimenti generali della sua straordinaria cultura musicale classica che in passato ha preso tantissimo dalla musicale tradizionale, interazione che oggi purtroppo ha interrotto per un suo stato di stallo, cristallizzandosi. Quindi diviene difficile riuscire ad innestare su tali fondamenta un’ottica progressista che accetti l’oggettiva posizione di eccellenza del tamburello nel suo ruolo di strumento più antico e più rappresentativo di tutta la cultura musicale italiana.
Come spieghi e come valuti il successo quasi di massa di danze quali le tammurriate e la pizzica, nella cui pratica coreutica i tamburi a cornice svolgono un ruolo fondamentale?
Le spiegazioni le lascio agli addetti ai lavori: io non sono né sociologo né etnomusicologo, per me potrebbe anche semplicemente trattarsi di corsi e ricorsi storici ma personalmente credo che sia una grande conquista per un popolo come il nostro il riavvicinarsi alle proprie tradizioni perché vuol dire riconoscersi per tutto quel grande bagaglio culturale nato da secoli di scambi ed interazioni con altri popoli e quindi accettarsi un po’ meno come italiani e un po’ più come uomini.
Se ci guardiamo intorno, possediamo un patrimonio culturale coreutico-musicale immenso che gli eventi storici hanno condotto al rifiuto perché non contemplato dalla cultura classica ma soprattutto perché ignorato o denigrato dai media. Ironicamente potremmo dire che finalmente si iniziano a vedere i lati positivi di quel libero arbitrio di cui tanto ci sentiamo rappresentanti.
Il successo di massa, e chiudo con una metafora, per me è come una stagione redditizia in agricoltura:
la fioritura primaverile è rigogliosa e i frutti tanti e sugosi, ma finita quella stagione i frutti cadono e l’albero si spoglia e di quei fiori e di quei frutti resta un vago ricordo. Mentre tutto ciò avviene all’esterno alla portata degli occhi di tutti, sotto terra lontana da occhi indiscreti la radice continua il suo lento ma costante percorso di crescita e modificando anche la propria forma, non smette di sostenere quell’albero che tutti vedono ora rigoglioso ora scarno.
La tradizione non ha bisogno di riflettori e di attenzione perché è e si modifica in funzione del ruolo sociale che assolve, è come la radice. Tutto il resto, il folk revival e/o tutto ciò che si ci può sommare sopra, è un frutto altalenante nella fioritura e nella fruttificazione, è lo specchio verso l’esterno dell’albero ma soprattutto della radice che lo sostiene.
Questa è l’immagine che ho della tradizione e di tutto ciò che ne deriva.
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