CLÓ LAR-CHONNACHTA CICD 110 – CONCERTINA TRADIZIONALE/IRLANDA
Che in qualche parte del mondo ci sia ancora qualcuno che pubblica simili lavori é -quantomeno- rassicurante. Significa che esiste la possibilità di eseguire musiche tradizionali con rigore filologico e tutto ciò ci porta la conferma che -dal momento che i CD si fanno anche per essere venduti- esiste un pubblico, per quanto piccolo, anche per questi prodotti “di nicchia”.
Chris Droney, valente esecutore alla concertina, fa parte di quella generazione di artisti tradizionali alla quale è stato insegnato sin da piccoli, oltre che l’uso dello strumento -naturalmente- anche il rispetto e il rapporto con i danzatori, dal momento che l’esecuzione doveva essere ben subordinata all’accompagnamento del ballo.
Nato a Bell Harbour, nella contea di Clare dove ancora risiede, apprende l’uso dello strumento dal padre in tenerissima età, e nei primi anni ‘50 entra a far parte della Bell Harbour Céilí Band. Queste piccole orchestrine -orgoglio del paese di cui spesso portavano il nome- furono (e spesso sono ancora) palestra per giovani musicisti, un po’ come le big bands negli States o le orchestre a plettro qui da noi. Va da sé, come si diceva, che il suo stile -come egli stesso afferma- sia tutto proteso alla scansione ritmica in favore dei ballerini. Questo sta a significare -oltre alla cura estrema del ritmo- anche un numero limitato di abbellimenti ed una velocità di esecuzione “umana”.
Entrato a far parte -negli anni seguenti- delle mitica Kilfenore Céilí Band, si esibì con il suo piccolos trumento in mezzo mondo, comparendo anche (come fa notare lui stesso con orgoglio nelle note di copertina) davanti al cardinale Ó Fiaich (?!) ed all’imperatore del Giappone.
Il CD in questione lo vede accompagnato soltanto dal piano di George Byrd -per trent’anni membro della leggendaria Tulla Céilí Band- ed anche questa scelta apparentemente spartana ci può suggerire una riflessione: il piano era -e in qualche caso sembra rimanere- lo strumento per l’accompagnamento del solista; lo strumento adatto, insomma, a lasciar risaltare il lavoro della prima voce e capace di fornire un acompagnamento che -in un sol colpo- rappresenti la parte armonica, il basso e, in talune situazioni, anche le percussioni. Ancora una volta abbiamo quindi conferma di quanto i suonatori tradizionali amino preferire questo tipo di accompagnamento (che altro non è che una Céilí Band in miniatura) al suono più corposo di un normale gruppo.
La scelta del repertorio eseguito (ed inciso) è quantomai varia -in linea con la destinazione “danzereccia’- con spazio a movimenti a volte poco utilizzati dalle moderne bands, quali polkas, waltzer e horn-pipes.
“The Fertile Rock” -il cui titolo si riferisce alle rovine della Corromroe Abbey che tuttora sorgono nel Burren- scorre via con grande linearità e piacere in una discreta varietà di suoni e temi, a dispetto della possibile ripetitività insita in un lavoro affidato -in studio- a due unici strumenti con ruoli così definiti.
Un disco senza dubbio da cercare ed ascoltare con attenzione e rispetto. Se poi qualcuno volesse muovere due passi di danza…
Paolo Ganz
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