Un’intera città che gioca, che guarda altri giocare, che visita mostre sul gioco, assiste a conferenze sul gioco, ascolta musica giocosa… Questa è Verona durante il Tocatì, cioè il Festival Internazionale dei Giochi in Strada che si è svolto nella città scaligera dal 18 al 21 settembre di questo tormentato 2015, nel quale abbiamo un po’ tutti bisogno di abbondanti dosi di allegria, di ottimismo e dunque di gioco.
Una caratteristica assai apprezzabile del Festival consiste nel dedicare ampio spazio ad iniziative di ambito folklorico ed è proprio di queste che vi parlerà il vostro “inviato speciale” di Folk Bulletin.
Il sabato e la domenica nelle strade della città c’erano circa trenta giochi tradizionali italiani e catalani (la Catalogna era appunto la nazione ospite di questa edizione e da lì sono arrivate circa duecento persone, compresi i danzatori e i musicisti). Ogni gioco era presentato e mostrato da comunità ludiche (cioè le persone che abitualmente si dedicano a quel gioco nel loro territorio). Erano anche molti, adulti e bambini, coloro che cercavano di apprenderne le regole per cimentarsi in prima persona.
Diamo ora doveroso conto di una tavola rotonda coordinata dagli antropologi Vincenzo Padiglione e Francesco Ronzon, che ha avuto l’appropriato titolo di Se questo è un gioco. Prendendo spunto dalle note teorie sul gioco dell’antropologo e psichiatra Gregory Bateson (1904-1980), i relatori hanno potuto spaziare fra i punti di vista più vari: dal design (Antonella Andriani) alla geografia culturale (Chiara Rabbiosi), dalla progettazione di videogiochi (Nicolò Tedeschi) ai fumetti (Jacopo Olivieri).
In serata la tavola rotonda ha avuto una appendice spettacolare articolata in vari momenti. Nel primo, introdotti da Giovanni Kezich, si sono esibiti gli improvvisatori in ottava rima Donato de Acutis e Giampiero Giamogante, che si sono sfidati improvvisando su temi proposti dal pubblico. Purtroppo la scarsa fantasia degli spettatori, ha fatto sì che siano stati suggeriti argomenti piuttosto usurati. Una signora ha perfino suggerito uno dei temi eterni di questo genere: il contrasto tra uomini e donne. Era dunque difficile che i due pur valenti “poeti a braccio” potessero dire qualcosa di originale, si sono, infatti, limitati ad una esecuzione di routine, seppure sostanzialmente godibile.
È poi salito sul palco il cantastorie veneto Otello Perazzoli, una figura che maneggia con molta sapienza la millenaria tecnica di tenere desta l’attenzione del pubblico mescolando con mestiere il doppio senso erotico, l’impudente arte di autovantarsi e il buon senso popolare intriso di un pizzico di qualunquismo. Gli spettatori si sono divertiti e si sono riconosciuti nel suo repertorio sospeso a metà tra (solida) tradizione e (moderata) innovazione.
Un pochino più problematica è stata l’accettazione da parte dei presenti del canto dei Tenores di Oniferi, che si sono esibiti in una performance composta da un solo pezzo lungo ben trenta minuti. Un brano dal fascino ipnotico e ammaliante, ma altrettanto sicuramente ripetitivo che avrebbe avuto bisogno, per essere meglio apprezzato, di una introduzione che ne illustrasse sia il loro inserimento a pieno titolo nelle tradizioni popolari della Sardegna (cosa che in qualche misura è stata fatta) ma che desse conto anche del senso dei testi del tutto incomprensibili ai non isolani.
I Minatori di Santa Fiora fanno un coro nato nella metà degli anni Settanta che si propone di tenere in vita la trasmissione orale dei canti di miniera originari del Monte Amiata. Il repertorio è composto da canzoni di osteria e di lavoro eseguiti con brio e allegria. La sorprendente star del gruppo è un arzillo vecchietto di 88 anni, la cui verve ha raccolto grande simpatia nel pubblico, nonostante fosse evidente che, inevitabilmente, avesse qua e là dei mancamenti di voce, accolti comunque con un raddoppio degli applausi.
Un momento di grande intensità emotiva è stato proposto dal noto antropologo Eugenio Imbriani proprio nel luogo più suggestivo della città: la bellissima piazza delle Erbe. Introdotta da un efficace prologo del professore, si è esibita la ballerina Sabrina Brescia accompagnata ai tamburelli da Andrea Martes in una toccante interpretazione dei riti del tarantismo. Era ben chiaro a tutti che si trattava di un’interpretazione teatrale, ma l’affetto è stato comunque coinvolgente. Era altrettanto chiaro che non si trattava di scacciare un male oscuro instillato dall’improbabile morso di un insetto, ciononostante il silenzio è calato nell’affollatissima piazza e tutti hanno seguito l’arcaico rito compenetrandosi nell’antico dolore che tormentava quelle povere donne convinte di essere state colpite dal disgraziato evento.
Tito Saffioti