di Tito Saffioti
Per quattro giorni, dal 14 al 17 settembre, l’intera città di Verona si raccoglie intorno a Tocatì, il suo Festival internazionale dei giochi antichi e di strada giunto ormai alla XV edizione e che ha raggiunto ormai un successo travolgente, tanto che quest’anno ha ricevuto il patrocinio dell’UNESCO come evento utile a promuovere la salvaguardia e l’insegnamento di tali pratiche sportive e culturali.
Ecco ora un sintetico panorama di ciò che può interessare i lettori della nostra rivista. Erano presenti in uno stand collettivo ben otto musei etnografici e di comunità: il Museo Etnografico dell’Alta Brianza, collocato nell’area verde del Monte Barro a Galbiate (Lecco), che ha proposto un laboratorio di gioco povero. La storica Casa Grotta di Vico Solitario, sita nello straordinario e assolutamente unico paesaggio dei Sassi di Matera, dove è stato mostrato come si manipola l’argilla e come si costruiscono gli orologi a cucù. Il Museo Internazionale delle Marionette di Antonio Pasqualino (Palermo), dove un artigiano ha costruito un pupo siciliano davanti ad un piccolo, ma molto interessato pubblico. Vari modi di pensare con le mani sono stati proposti dalla Pro Loco di Viggiano (Potenza), dal Museo Casa di Zela di Caserana di Quarrata (Pistoia), dall’Archivio delle Tradizioni Popolari della Maremma Grossetana, e dal Centro Televisivo Ars Vivendi dell’Università di Siena. Non è mancata una presenza estera, costituita dall’Ecomuseo della Casa Batana che è stato invitato a raccontare il progetto comunitario della cultura vivente di Rovinji/Rovigno (Croazia), iscritto nel 2016 al Registro delle Buone Pratiche per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale.
In vari luoghi della città si sono svolti eventi musicali, spettacolari e di gioco tra i quali ci piace citare il Lancio del maiorchino, un modo tradizionale per testare la stagionatura del formaggio detto appunto maiorchino, che si svolgeva a Novara di Sicilia (Messina) nei secoli passati. Oggigiorno è, appunto, un gioco, nel corso del quale diciotto squadre si contendono il titolo di campione in sfide molto accese il cui premio è, naturalmente, costituito da alcune pezze di questo pregiato cacio. Sul bordo rotondo del formaggio s’incide una scanalatura dentro cui si arrotola una corda che il lanciatore trattiene in mano dopo aver scagliato con forza la pesante ruota che percorre rotolando allegramente distanze davvero sorprendenti.
Laccio d’amore è, invece, un elegante e coloratissimo gioco che vede protagonisti dodici coppie di ballerini provenienti da Marcianise (Caserta). Costoro si muovono intorno ad un palo sovrastato da un disco simboleggiante il sole. Ciascuno di loro tiene in mano un laccio colorato legato alla cima del palo stesso e tutti compiono eleganti movimenti circolari incrociandosi fra di loro al fine d’intrecciare il proprio nastro nel palo. La musica popolare campana, i costumi tradizionali, la grazia dei movimenti e l’abbondanza di colori hanno contribuito al successo delle loro esibizioni.
Una bellissima mostra è stata realizzata nei pressi del chiostro della chiesa di San Giorgio in Braida: molte decine di burattini erano appesi alla cancellata hanno attirato la curiosità di grandi e, soprattutto, bambini. Alla mostra è collegata anche l’iniziativa definita Favolavà, che consente a chiunque voglia di portarsi a casa gratuitamente e di usare per una o due settimane una valigetta contenente il necessario per improvvisare piccoli spettacoli con i propri bambini, che potranno agire in prima persona sia come spettatori, sia come burattinai in erba.
Ma il vero spettacolo del festival è il pubblico, proveniente da tutta Italia e da molte località europee e mondiali. Un pubblico curioso, vivace, competente, divertito. La città di Verona è interamente coinvolta in questa iniziativa, le vie e le piazze del centro storico sono percorse da gruppi e famigliole con il sorriso dipinto nei volti.
E i bambini poi… Non si sono limitati agli spettacoli a loro dedicati ma s’intrufolavano dappertutto e chiedevano spiegazioni su ogni cosa. Vederli poi ballare intorno ai palchi dove si faceva musica era un piacere per gli occhi.
Insomma, in tutto questo tempo non abbiamo mai udito un solo pianto di bimbi.
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