di Alessandro Nobis.
Amaramente debbo dire che questo, purtroppo, è un disco attuale; lo è soprattutto per le tematiche che Thom Chacon, californiano figlio di immigrati messicani, affronta e descrive in modo chiaro e diretto; le stesse tematiche che dagli anni quaranta Woody Guthrie e John Steinbeck hanno affrontato e che numerosi scrittori e musicisti hanno narrato nei decenni. Il dramma dell’emigrazione clandestina, la condizione operaia nelle fabbriche e nelle miniere di carbone, la depauperazione del suolo agricolo, la violenza razzista solo sopita e che periodicamente torna ad insanguinare le strade e le città americane ma anche la speranza di una vita almeno decente che non muore mai. Thom Chacon le narra da vero songwriter di razza, voce, chitarra, armonica e qualche pennellata di organo e di percussioni, un modo davvero essenziale e paradigmatico per raccontare storie che descrivono gli angoli più bui dell’America di oggi, ma anche di ieri e dell’altro ieri.
L’Appaloosa bene ha fatto a riportare nel libretto allegato i testi anche in italiano e chiunque può in questo Blood in The Usa leggere le storie dell’immigrato di El Charro, I am an Immigrant, nel minatore disoccupato di Union Town, nel metalmeccanico di Bethlehem (Work at End); storie purtroppo comuni, universali, le classi più deboli sempre sopraffatte dalle classi politiche e dai potenti, vecchie ferite che nell’America trumpiana sembrano oggi più acuirsi. Ma c’è sempre una fievole luce alla fine del tunnel, una luce di speranza: Credo in questa terra d’oro e speranza, Mi tengo saldo, tiro i remi / Sono vivo, al mio spirito non serve altro oppure Sangue nella polvere, sudore sulla terra / Tirati su le maniche, c’è del lavoro da fare.
Non vorrei più sentire storie come queste…
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