Avere avuto l’opportunità di ascoltare, dal vivo, L’Orchestra di Via Padova” e, contemporaneamente, ascoltare il loro primo album, “Tunjà”, che significa verità in lingua barbara (uno degli 80 dialetti che si parlano in Burkina Faso) è stata davvero l’occasione per testare le capacità di questo variegato ensemble. Ed il concerto ha reso esplicito quanto già i tredici brani di “Tunjà” avevano indicato: un gruppo di polistrumentisti di notevoli capacità (con particolare attenzione alla sezione fiati capitanata da Stefano Corradi), idee molto chiare rispetto alla proposta musicale che non si rifà alla world music ma è world music, nel senso che è oltre che essere suonata da quindici musicisti di varie nazionalità (sei italiani, due ucraini, un cileno, un cubano, un peruviano, un’estone, un marocchino, una serba, un burkinese) ha nel suo DNA una connotazione musicale che non si appoggia su sonorità “volutamente” mondiali e, quindi, “ricercate” ma, attraverso un lavoro di conoscenza, intenso e profondo, che è stato fatto e che, presumiamo, non avrà mai fine, ha legato, in maniera quasi naturale, le differenti culture e musicalità raggiungendo un equilibrio di notevole spessore che, soprattutto dal vivo, emerge in tutta la sua potenza. Anche per questa ragione poterli vedere dal vivo aiuta a comprendere quanto profondo sia stato il lavoro di preparazione per questo primo lavoro. Rapido per Algeri porta la memoria al grande Dizzy Gillespie ed all’immortale Night in Tunisia non per similitudini musicali ma per la profondità della perizia musicale dell’orchestra nel rendere “visibile” questo treno così come il grande Dizzy illuminava la “sua” notte. In Mouraria si potrebbe immaginare, invece, di essere caduti in una sonorità che sarebbe piaciuta agli Area prima maniera, mentre l’attacco dei fiati di El Menfi è uno straordinario dejà vu dei King Crimson dei giorni migliori e subito dopo la musica ci trasporta in una melodia araba, cantata da Aziz Riahi, a riprova delle grandi capacità di mutare registro che è nelle corde di questo gruppo. Capacità musicali e capacità di convivenza tra persone e mondi differenti anche se, ci tiene a precisare Massimo Latronico, (che è oltre ad essere il direttore dell’orchestra di Via Padova ne è stato anche un po’ il fondatore) che questo non è un esperimento a carattere sociale ma rappresenta la voglia di suonare insieme perché si ama la musica e perché di musica ci si vorrebbe anche vivere. E che non si tratti di un mero esperimento sociale lo comprendiamo bene nella proposta di una vecchia canzone d’origine russa, Podmoskovnye Vechera (la nota Mezzanotte a Mosca) che dopo avere fatto un percorso con il suo classico scorrere malinconico delle liriche e delle note, esplode in una sorta di jam jazzata travolgente. Anche se la versione dal vivo è di straordinario impatto. Giocata all’inizio sulle percussioni di Abdually Kadal Traore e dal basso ossessivo di Marco Roverato, Tunià rappresenta forse l’amalgama più interessante dell’album perché al suono percussivo ed ancestrale di Traore si agganciano, in maniera estremamente precisa ed opportuna, i fiati ed è da apprezzare, in particolare, il lavoro svolto Humberto Amesquita. Gradevole e godibile è l’omaggio a Gaetano Donizetti che la morbida voce di Tatiana Zazuliak rende in maniera eccellente e l’accompagnamento del clarino, della fisarmonica, del violoncello sono dei piccoli gioielli incastonati in questo bellissima canzone (sfuggita al Battiato dei due “Fleurs…”?). Sempre il suono del clarinetto detta i tempi, insieme alla fisarmonica, dell’affascinante Parfun de gitanes e la successiva Fantasia gitana trova nel suono della fisarmonica il giusto prologo per porgere alla Zazuliak il migliore degli assist per far sì che la sua voce sia come il collante per il brano successivo, Rucelòk, un brano tradizionale russo, veloce, tirato, molto klezmer nell’incedere e che vede anche il basso tuba di Oscar Janez fare la sua degna figura. Sahara è un brano evocativo che rende davvero bene l’idea del deserto e dei suoi silenzi, delle sue calure, dell’incandescenza dei giorni e della solitudine. Da segnalare, in particolare, la coralità del suono e delle immagini che questo brano riesce a proporre. Franco funky è il finale che non ti aspetti: basso tipicamente scuro e funky, batteria secca, chitarra elettrica “metheniana”, la sezione fiati che ci dà dentro con vigore colorando il brano con il suono della tromba di Raffaele Kholer. Un originale saluto per uno dei migliori album dell’anno con l’augurio che il progetto de L’Orchestra di Via Padova possa decollare e portare dal vivo la sua indubbia forza espressiva.
Rosario Pantaleo
Orchestra di Via Padova – “Tunja” (CD)
Tecnodisplay – OVP-AZ/001-2, 2008
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