FOLKCLUB ETHNOSUONI ES5387, 2010
Attivi dal 2003, i siciliani Terrae si collocano fuori dalle tante semplificazioni che popolano il mondo della world music, prediligendo quei suoni graffianti e inquietanti che li avevano fatti notare nel loro precedente lavoro “38° parallelo – Instabili terre” (FolkClub Ethnosuoni 5352, 2005). L’incipit del disco, quel “Coru di carcerati” drammatico e struggente, è destinato a rimanere impresso come pochi, ma tutto l’album è una studiata alternanza di momenti forti e pause di riflessione apparenti, in realtà ulteriori occasioni per lasciarsi coinvolgere in un processo di identificazione con il tema centrale di tutta l’opera, che è un omaggio a “tutti coloro che in settecento anni di storia siciliana hanno lottato per la libertà, la giustizia e la verità e sono stati esclusi dalla storia ufficiale e dalla memoria collettiva”, come dichiara il libretto allegato. Si potrebbe quasi dire che ogni brano sia un gesto di interposta riconoscibilità che Terrae esegue per tirar fuori dall’oblio persone e fatti che hanno fatto la storia della regione, una storia scritta dagli oppressi e spesso dagli sconfitti. Francesco Di Stasio (contrabbasso e voce) e Antonio Livoti (chitarre, elettronica, voce) sono gli ideatori del progetto, coadiuvati da Cesare Frisina (violino e voce) e Giorgio Rizzo (percussioni, elettronica, voce) e a loro si affiancano alcuni ospiti a rinforzare soprattutto archi e voci. Non stupisca l’uso dell’elettronica: timbriche di sintesi, volutamente forzate, non fanno altro che contribuire con efficacia alla tensione drammatica del disco, che solo di rado si stempera in alcune frasi dell’ottimo violino e in qualche voce soltanto episodicamente tranquillizzante. Un disco che, non a caso, pare aver avuto più eco all’estero che in Italia, proponendosi opera per un pubblico maturo alla ricerca di stimoli creativi decisamente nuovi. Assolutamente da consigliare.
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Roberto G. Sacchi
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