DO FOL RECORDS,BOA 10002016, 1999 – FOLK PROGRESSIVO/GALIZIA
È ancora un’ attitudine letteraria quella che guida l’ispirazione di Berrogüetto, gruppo gallego giunto alla sua seconda fatica, nella composizione ma soprattutto nell’accostamento e nel “montaggio” dei brani. Come nei buoni romanzi, e come nel primo album “Navicularia”, immaginazione e realtà si confrontano, si toccano, si mischiano, si fondono, si sublimano dimostrando la loro imprescindibilità nel tentativo di cambiare le realtà in Utopie. Già, perché sembra proprio che senza l’utopica idea della pacificazione di tutti i contrasti del presente la musica di Berrogüetto non trovi la maniera di svolgersi. È un po’ la vecchia immagine dei concept -album del pop giurassico anni ’70 con in più, ed è un’aggiunta di grandi valore ed interesse, la piena adesione alle radici musicali della propria Terra.
Il soggetto è questa volta il libro di Etienne Cabet “Viaggio ad Icaria” (1840) in cui vengono descritte le caratteristiche di quella che per i tempi era la città utopica: fognature, bagno in casa, pensione a 65 anni, otto ore lavorative…tutti sogni oggi divenuti realtà, tranne uno (e da qui nasce l’irritante sensazione di vivere ad Urticaria anziché ad Icaria): la realizzazione degli ideali spirituali che secondo Cabet si sarebbe raggiunta grazie alle macchine liberatrici ed all’architettura umanizzante non ha compiuto un passo avanti che sia uno!
Che poi dal bruciore nato dall’immaginario attrito tra le due città nascano i suoni dell’album di cui ci stiamo occupando mi permetto sinceramente di dubitare; meno utopisticamente è facile dire che Berrogüetto conferma la propria abilità nell’utilizzo di una formula di “celto-pop” di cui ha sicuramente contribuito ad ammodernare la variante “celtiberica” in maniera tutt’altro che banale e/o superficiale. Ed in tempi in cui Hevia imperversa questo è lavoro sicuramente benemerito.
Rispetto al lavoro precedente questo “Viaxe por Urticaria” vede l’arrivo al gruppo della vocalist Guadi Galego la cui presenza, anche se solo in quattro canzoni, fornisce da una parte un maggior equilibrio compositivo tra danze e ballate, ma allontana dall’altra l’eco della splendida tradizione vocale femminile della Galizia, fortemente basata sulla polivocalità. La tradizione, del resto, risulta essere abbastanza lontana in gran parte degli undici brani che compongono l’album, non solo perché di derivazione diretta restano solo una musica e due testi, ma anche e soprattutto perché tra jotas, muiñeiras e alalás si infiltrano composizioni simil-ambient che guardano soprattutto al’equilibrio “filosofico” del lavoro.
Bailador è sicuramente il brano che si fa preferire: l’equilibrio fra il testo dall’antico sapore di festa, l’inaspettato bansuri ed il nutrito sostegno di percussioni ne fa un gioiellino raro. Altri brani che distaccano sono Tránsito, in cui l’idea del movimento è accentuata dal continuo accostamento di omologhi strumenti antichi e moderni (sax-gaita, acordeón-violino, bouzouki-chitarra acustica), K , la cosa più vicina ad una muiñeira utopica che si possa immaginare, Alalá das Humanidades, in cui la pretesa universalità del messaggio concettuale dell’abum trova pieno appoggio nell’ arcaica e profonda forma espressiva dell’alalá, coinvolgente e commovente anche in versione sintetizzata. Al di là di tutte le considerazioni che si possano fare sulla formula del folk progressivo, comunque, ciò che più colpisce in questo lavoro sono la qualità dell’arrangiamento e della registrazione, di cui va dato merito, oltre che ai sette musicisti, alla eccellente produzione di Jean Phocas, già artefice di alcuni dei migliori lavori dei baschi Oskorri.
…Utopías de orella…Sons de Urticaria.
Alberto Stanghellini
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